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La Spezia 1978
La luce del mattino filtrava attraverso le tende logore del dormitorio della Caserma, un luogo intriso di storia e disciplina. Eravamo a La Spezia, una città che portava con sé l’essenza del mare: l’odore salmastro, il rumore delle onde che si infrangevano contro le banchine del porto, e il canto lontano dei gabbiani. Era il 1979 un periodo in cui l’Italia stava cambiando, ma la vita militare seguiva ancora regole immutabili, come quelle del mare.
La giornata iniziava presto, molto presto. Alle 5:30, il suono acuto della tromba ci strappava dai nostri letti. Non c’era spazio per la pigrizia. “Sveglia! Tutti in piedi!” risuonava il grido degli ufficiali, accompagnato dal frenetico scalpiccio dei nostri compagni che si preparavano in fretta. La routine mattutina era una danza sincronizzata: infilare l’uniforme impeccabile, lucidare gli anfibi, e assicurarsi che ogni dettaglio fosse in ordine. Ogni piega, ogni bottone, ogni centimetro contava.
La prima prova del giorno era l’ispezione. Gli ufficiali passavano tra le file, occhi attenti a ogni minimo errore. Una cucitura fuori posto o una scarpa meno brillante potevano costare ore di addestramento extra.
Alle 6:30 ci dirigevamo verso la mensa, dove una colazione spartana ci aspettava. Pane, marmellata e un caffè forte erano sufficienti per affrontare le sfide della giornata. Durante il pasto, il rumore di tazze e posate era accompagnato dal vociare sommesso dei commilitoni. C’erano battute rapide, spesso a tema sul tempo passato lontano da casa, sulle famiglie e sulle fidanzate. Ma non c’era molto tempo per la nostalgia.
Dopo colazione, alle 7:00, ci riunivamo nel cortile principale per l’alza bandiera. Gli ufficiali delineavano il programma della giornata, alternando ordini chiari e istruzioni tecniche. “Oggi ci concentriamo sul coordinamento delle squadre durante un’emergenza in mare.”
La prima attività era sempre l’addestramento fisico. Una corsa intorno alla caserma, una struttura imponente situata in una posizione vicino al mare, era il nostro riscaldamento. Con il fiato corto e le gambe che bruciavano, ci spingevamo a vicenda, consapevoli che la resistenza era una delle qualità più importanti per un marinaio.
Seguivano esercizi a corpo libero: piegamenti, trazioni e addominali, tutto sotto il vigile sguardo degli istruttori. Le urla di incitamento, spesso severe, ci ricordavano il perché eravamo lì.
Intorno alle 9:00, iniziava l’addestramento tecnico. La giornata di oggi prevede lezioni sulla navigazione e sulla gestione delle emergenze. Seduti su banchi di legno, ascoltavamo i nostri superiori spiegare i principi della cartografia nautica. Mappe, bussola e calcoli erano strumenti essenziali per chi viveva il mare. “Un buon marinaio deve sapere dove si trova, anche in mezzo a una tempesta,” ci ripetevano.
Successivamente, ci trasferivamo all’aperto per le esercitazioni pratiche. La caserma era dotata di strutture specifiche per simulare situazioni reali, come operazioni di salvataggio o sull’uso dei gommoni. Divisi in squadre, ci esercitavamo a calarli in mare e a remare in sincronia, simulando un’evacuazione.
Alle 12:30, la sirena ci richiamava in mensa per il pranzo. Il pasto era semplice ma nutriente: pasta al pomodoro, carne con contorno di verdure e un pezzo di pane. Dopo il pranzo, avevamo un’ora di riposo. Era uno dei momenti più attesi della giornata. Alcuni di noi si sdraiavano sui letti per recuperare energie, altri scrivevano lettere alle famiglie o leggevano romanzi di avventura.
Il pomeriggio era dedicato a esercitazioni più complesse. A volte ci aspettava una simulazione di emergenza in mare. Sotto il sole cocente, con il sudore che ci colava sulla fronte, imparavamo a coordinare le operazioni di soccorso. La disciplina era fondamentale: ogni errore poteva costare caro in una situazione reale. Le urla degli istruttori si mescolavano al suono delle onde che si infrangevano sulle banchine.
Alle 18:00, dopo una giornata intensa, tornavamo al dormitorio. Qui, tra il rumore dei passi e il chiacchiericcio sommesso, si consolidava il senso di cameratismo. Eravamo una squadra, un gruppo di ragazzotti che condividevano le stesse sfide, gli stessi sogni e la stessa fatica.
La sera, dopo cena, si poteva godere di qualche momento di libertà. Alcuni uscivano per una breve passeggiata sul lungomare di La Spezia, respirando l’aria fresca e osservando le luci del porto. Altri si dedicavano alla manutenzione delle loro uniformi o si concedevano una partita a carte.
La vita alla Caserma non era facile. La disciplina, la fatica fisica e mentale, e il senso di responsabilità erano lezioni che ci avrebbero accompagnato per sempre anche se non sempre le accetti.
Mentre la città di La Spezia si addormentava e le luci del porto si riflettevano sull’acqua calma, ci coricavamo nei nostri letti duri ma familiari. Il pensiero era sempre per i nostri cari che sentivamo una volta alla settimana dopo avere fatto la fila davanti a una cabina telefonica. Ciao pà…. come va?… tutto bene … non preoccuparti saluta la mamma. E poi si riagganciava prima che il “magone” ci prendeva.
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