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La mia Capsula del tempo
Avete mai sentito parlare di una “capsula del tempo”?
È un’idea tanto semplice quanto straordinaria: un contenitore progettato per sfidare gli anni, per custodire un pezzo di noi e consegnarlo al futuro.
Può avere qualsiasi forma o materiale, adattandosi alla tecnologia del tempo in cui viene creata. Può essere un piccolo barattolo, un contenitore sigillato, persino una stanza intera.
Dentro una capsula del tempo si mettono oggetti, ricordi, frammenti di vita che riteniamo importanti: fotografie, lettere, o magari un vecchio biglietto del treno che ci ricorda un viaggio speciale. È come lanciare una bottiglia nell’oceano del tempo, con la speranza che un giorno si spiaggi su una riva lontana.
Non è una macchina del tempo, certo. Non possiamo saltare avanti o indietro negli anni. Ma è un messaggio silenzioso che viaggia in una sola direzione, verso chi verrà dopo di noi.
Persone che non conosciamo, in un mondo che non possiamo immaginare.
Pensate: persino Albert Einstein e Thomas Mann hanno creato le loro capsule del tempo. E George Washington, nel lontano 1793, nascose una capsula nel Campidoglio degli Stati Uniti, ma nessuno l’ha ancora trovata.
L’idea mi affascina da sempre. Forse perché racchiude un desiderio umano così universale: non essere dimenticati. È un modo per dire al futuro: io ero qui, questo ero io.
E in questi giorni, riflettendo, mi sono accorto di avere già una mia capsula del tempo. Non è ancora sepolta né nascosta ma lo devo fare in fretta. È una semplice scatola che tengo in casa, una scatola che non apro quasi mai ma che contiene tutto ciò che sono stato.
Dentro ci sono una mia foto da bambino, con i capelli spettinati e un sorriso timido. C’è una foto di me da militare, quando ancora portavo quella divisa che odiavo e amavo al tempo stesso. C’è un CD dei Dire Straits, che ascoltavo a ripetizione in un periodo della mia vita in cui la musica era il mio rifugio. C’è la mia patente nautica, ormai scaduta, un ricordo di quando sognavo il mare e la libertà. E poi il mio vecchio libretto dell’AVIS, con i timbri di ogni donazione fatta negli anni. E altre stranezze, piccoli oggetti che, per qualche ragione, ho ritenuto importanti.
Ogni volta che ci penso, mi rendo conto di quanto quella scatola non sia solo un contenitore. È un archivio di memorie, un pezzo tangibile della mia identità. Senza di lei, molti dei miei ricordi perderebbero la loro tattilità, quella sensazione fisica che li rende reali.
Ma c’è qualcosa di strano: non aggiungo nulla a quella scatola da almeno 15 anni. Come se gli ultimi anni non fossero stati abbastanza significativi per far parte di quella storia, o come se, inconsciamente, avessi deciso di lasciarli fuori. È una sensazione che mi inquieta e mi incuriosisce allo stesso tempo.
Ora, però, sento che è arrivato il momento di aggiornarla. Di riflettere su ciò che mi rappresenta oggi e su cosa voglio lasciare al futuro. Forse una lettera, scritta a mano, in cui racconto chi sono ora, con le mie gioie e le mie incertezze. O magari una foto con le persone che amo, per portare un po’ di loro in quel viaggio nel tempo.
Lascerò fuori tutte le persone che mi hanno voluto male. Che mi hanno preso in giro e che mi hanno illuso.
Ma non devo dimenticare le mie cravatte o almeno un paio. Si…le infilo nella capsula. Ma siii dai…anche la mia raccolta di rane, ci dovrebbe stare tutto. Ma tanti, tanti bigliettini con i nomi di chi mi ha voluto bene e che mi é stato vicino nei momenti più difficili e che forse non riuscirò a ringraziare.
E poi, quando tutto sarà pronto, sigillerò la scatola con cura. La nasconderò in un luogo speciale, un posto che abbia un significato per me, e lascerò fare al tempo. Non importa se verrà ritrovata tra 100 o 200 anni, o magari mai. L’idea di lasciare qualcosa di me, di sapere che un frammento della mia vita viaggerà verso il futuro, mi dà un senso di pace.
Immagino quel giorno lontano. Una persona sconosciuta, in un mondo che non riesco nemmeno a immaginare, aprirà quella scatola e si chiederà: chi era questa persona? Cosa amava? Quali erano i suoi sogni?
Forse rideranno di certi oggetti che oggi considero importanti. Forse troveranno bizzarro un CD, un pezzo di tecnologia così obsoleto per loro. O forse si emozioneranno, come mi emoziono io ora, nel pensare a chi verrà dopo di me.
Lo so, forse è un’idea un po’ folle. Ma non ci posso fare nulla. Questo sono io. E questa è la mia capsula del tempo.
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