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Il treno delle 5:45
Tra il 1975 e il 1978, ogni mattina la mia sveglia suonava quando il resto del mondo dormiva ancora profondamente.
Ero uno studente con grandi sogni e pochissimi soldi in tasca, ma niente poteva fermarmi dal prendere il treno delle 5:45 per Milano.
Non era un treno qualunque ma un “Regionale” ed era l’ultima chance per arrivare a scuola in orario. Comunque aveva anche uno svantaggio. Si doveva pagare un supplemento ma si trovava sempre posto su sedili in pelle e non in legno.
Lì, ogni giorno, iniziava una nuova avventura. Non ero solo, fortunatamente: al mio fianco c’era sempre il mio inseparabile amico Salvatore, compagno di risate, complice di disavventure e maestro nell’arte dello scrocco.
Ogni mattina era una battaglia contro il tempo. Salvatore e io non vivevamo nella stessa zona ma avevamo un accordo: chi arrivava in ritardo doveva offrire il caffè.
Peccato che nessuno dei due avesse mai abbastanza soldi nemmeno per un caffè. Finivamo così a discutere su chi fosse arrivato prima.
Di solito lui giurava di essere lì da un mucchio di tempo, ma io sospettavo che facesse il furbo saltando fuori dai cespugli alla stazione per darmi l’impressione di essere lì da ore.
Il nostro obiettivo comune, comunque, era uno solo: salire su quel treno senza pagare l’ingiustizia del supplemento. Non perché fossimo dei fuorilegge, ma semplicemente perché i nostri portafogli erano tragicamente vuoti. Spesso lo si prendeva di corsa quando era già in moto con le urla del Capo Stazione e le sue imprecazioni.
Sul treno c’era sempre un’aria particolare. I pendolari erano di due tipi: quelli che dormivano appoggiati al finestrino e quelli che leggevano il giornale come se fosse la Bibbia. Noi appartenevamo a una terza categoria: i disturbatori.
Salvatore era un maestro nel rompere il ghiaccio, soprattutto con le ragazze. Aveva un repertorio di battute così assurde che facevano il giro e diventavano quasi popolari. “Scusa, hai studiato geografia?” diceva alla prima ragazza carina che incontrava.
Se lei rispondeva “sì”, lui partiva con: “Allora saprai dov’è il mio cuore che hai appena conquistato!”. Io, nel frattempo, cercavo di non ridere troppo forte per non attirare l’attenzione del controllore.
A volte ci inventavamo personaggi per rendere la situazione ancora più surreale. Una volta ci siamo presentati a delle ragazze come due fratelli in cerca della “zia Carmela” a Milano, fingendo di non sapere come arrivarci. Un’altra volta, Salvatore si è fatto passare per un poeta incompreso, declamando versi assurdi tipo: “Oh stazione, stazione mia, sei l’alba del mio viaggio… ma anche il tramonto dei miei soldi!”
Ogni tanto, però, il nostro divertimento veniva interrotto da una figura sinistra: il Controllore. Lo sentivamo arrivare dal rumore dei passi e dal classico “biglietti, prego!”. A quel punto si attivava il nostro piano di fuga. Parola d’ordine “si salvi chi può”!
I Controllori noi li conoscevamo tutti e sapevamo bene come comportarci e su che carrozza salire. C’erano quelli scrupolosi e inflessibili e quelli che lasciavano correre.
Salvatore aveva un talento naturale per inventare scuse all’istante. Una volta ha tirato fuori una tessera scolastica falsa che aveva trovato chissà dove, sostenendo che fosse un abbonamento speciale per studenti poveri. Un’altra volta si è finto un giovane prete in missione, dicendo che stava raccogliendo fondi per l’oratorio della parrocchia. Tentativi farlocchi che finivano quasi sempre con verbale e multa da pagare a carico del genitore.
Io, invece, optavo per strategie più semplici: sparire. Diventare invisibile… nascondermi ovunque.
Quando il controllore si avvicinava, mi infilavo nel bagno o nello spazio che separava le carrozze, e ci restavo finché la situazione non si era calmata. Non mi importava se qualcuno avesse veramente bisogno del bagno. “Mi spiace … Occupatoooo!”
Una volta, però, il bagno era fuori servizio e non avevo via di scampo. Quando il controllore mi ha chiesto il biglietto, ho balbettato: “L’ho comprato, giuro, ma l’ho prestato a Salvatore per mostrarglielo… è andato di là! Io invece devo andare di lì perché ho dimenticato lo zaino con i libri”. (Mai avuti i libri a scuola). Il controllore, incredibilmente, mi ha creduto ed è andato a cercarlo. Salvatore, nel frattempo, si era nascosto in un’altra carrozza.
Nonostante le difficoltà, c’era sempre spazio per flirtare. Salvatore aveva un radar per individuare le ragazze che viaggiavano da sole. Il suo trucco preferito era quello del “libro dimenticato”: lasciava un libro sul sedile accanto alla ragazza e poi tornava fingendo di cercarlo. “Oh, grazie, pensavo di aver perso la mia copia della Divina Commedia! L’hai letta? È straordinario!….ma tu l’hai letto il capitolo di Paolo e Francesca?” Il fatto che non avesse mai letto più di due pagine era un dettaglio trascurabile. Manco sapeva chi fosse Dante!
Io ero meno diretto, ma a volte funzionava. Solo che il mio approccio era sempre rocambolesco e finiva che le facevo ridere le ragazze, come quella volta che, sul piu’ bello ho dovuto scappare per l’arrivo del controllore, infilandomi al contrario il maglione e dicendo che andavo in bagno per una improvvisa colica dovuta alla colazione fatta di fretta. Ma che ci saremo rivisti sicuramente domani. “Ohhh..Mi raccomando..prendi questa carrozza” urlai come un posseduto raccattando le mie cose. E poi fuga tra gli scompartimenti.
Quando finalmente arrivavamo a Milano, sempre in ritardo, esausti e con le guance doloranti dal ridere, iniziava la seconda parte della giornata: le lezioni.
Non sempre avevamo voglia di studiare ma ci toccava perché la scuola allora finiva tardi, e i compiti si dovevano fare sul treno del ritorno, e non era un optional. Un treno locale che si fermava a tutte, ma proprio tutte le stazioni. Una menata! Non c’era piu’ la voglia di tampinare le ragazze. (Ma questa è un’altra storia)
E sarà stata anche una mia impressione ma i controllori sembravano piu’ buoni e spesso, passavano dritti senza disturbarci mentre ci scambiavamo gli appunti di matematica o di fisica oppure, disegnavamo formule sui vetri del finestrino sempre appannati.
Negli anni, il “Regionale” delle 5:45 è diventato un simbolo della nostra giovinezza: un mix di follia, amicizia e coraggio. Non avevamo soldi, ma avevamo sogni, e questo era tutto ciò di cui avevamo bisogno.
E il controllore? Beh, penso che ancora oggi si stia chiedendo chi fossero quei due pazzi che ogni mattina riuscivano a sfuggirgli.
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