Correva l’anno… 1969

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Il 1969 non è stato solo l’anno della LUNA.
La scuola nel 1969 era per me un ambiente famigliare e tranquillo.
Molto più tranquillo del mondo esterno.
Sicuramente era meglio dell’asilo con le suore, le bambine che piangevano sempre e le merendine con burro e zucchero.
Anzi ormai mi sentivo forte nei miei …..” 10 anni ”…..ero in vantaggio sui compagni e a scuola in tutte le materie, andavo proprio da dio.
Solo con Gabriele c’era il solito e continuo testa a testa ma ne sarei uscito vincitore lo sapevo e ne ero sicuro.
Allora abitavo in un paese che sarebbe diventato a breve una città. (Parabiago) 
Mi ricordo che a casa alla domenica mi piaceva leggere “Famiglia Cristiana” che la mamma prendeva in chiesa perché era pieno di disegni, ma sul tavolo della sala e sempre bene in vista c’era “l’Unità ” e ” l’Avanti ” del nonno. Quell’anno accaddero tante cose ma non tutte le compresi subito. >Cominciavo a capire che su quei giornali viveva un mondo a me sconosciuto di cui mio padre faceva di tutto per tenermi ancora lontano.
Non capivo per esempio perché un ragazzo polacco dal nome strano (Jan Palach) si era dato fuoco.
Ma sulla fine dell’anno scolastico una cosa l’avevo capita da solo.
Era arrivato qualcosa che chiamavano “ pensione sociale ” di cui mio nonno ne andava fiero e mi diceva urlando in dialetto ” ricordati questo numero – legge 153 – una rivoluzione sociale “.
Quel numero me lo scordai subito perché a scuola eravamo arrivati intorno al 100 ma che la pensione fosse una cosa importante non lo scordai mai più.
Titoloni grandissimi sul “l’Unità “.
A luglio, in una sera umida e calda piena di zanzare mi ricordo mio padre che mi obbliga a stare sveglio.
Mi dice che stanotte l’uomo scenderà sulla luna e questo dava molto fastidio al nonno che sosteneva che sulla luna c’erano già andati i russi.
Ma al di là di questo, quando tutti e tre guardavamo la luna si stava molto bene e ridevamo come matti.
Allora la televisione era una grossa scatola e fu proprio il nonno a trascinarla in cortile sul suo carrello di vetro per fare vedere ai vicini l’avvenimento.
Solo il nonno sapeva quale fosse l’ora giusta per accenderla e spegnerla.
Prima o dopo di tale ora quella scatola emetteva uno strano ronzio e si vedevano solo puntini.
Del resto quando funzionava si vedevano solo cose complicate in bianco e nero che guardavano solo i grandi.
Vietatissimo per la nonna toccare quella scatola che continuava a dire che quella “diavoleria” era troppo pericolosa piena di vetri e manopole per spolverarla e se fosse successo qualcosa il nonno l’avrebbe sicuramente presa a forconate.
La verità è che io ero troppo piccolo per vederla con i grandi ma non abbastanza piccolo per non capire che tra le cose difficili che dicevano c’erano storie strane di banche che esplodevano o che degli Hippy facevano cose esagerate come degli studenti che vedevo nella scuola vicina alla mia.
Quando chiedevo spiegazioni le risposte erano sempre vaghe.
Non capivo perché in un posto chiamato Vietnam ragazzi americani ci morivano.
Mia mamma rispondeva “non pensarci e mangia se no diventi magro come uno del Biafra”.
Sta storia del Biafra mi creava ansia.
Se non mangiavo o se scartavo qualcosa mio nonno mi raccontava che da quelle parti i bambini non avevano nulla da mangiare e quello che per me era scarto loro lo avrebbero mangiato senza indugi.
Biafra, Vietnam erano luoghi che non immaginavo nemmeno esistessero.
Come non capivo cosa voleva dire “autunno caldo per le tute blu”. 
Mia mamma mi aveva già detto che il nero e il blu trattengono il calore mentre il bianco lo respinge.
Forse quell’autunno era caldo perchè in fabbrica a mio padre avevano dato una tuta blu.
A me parve freddo come gli altri.
A mia mamma piaceva prepararmi per la scuola.
Voleva che continuassi a studiare anche per lei.
Diceva che non aveva potuto diventare una studentessa perché i nonni non avevano abbastanza soldi e aveva dovuto andare a lavorare poi, “sei arrivato tu e addio sogni”.
Da dove fossi arrivato e perché, anche questo non mi era chiaro. 
Mi ricordavo che quella era sempre stata la mia mamma e non facevo domande su quel “sei arrivato tu” perché non avevo affatto voglia di ricordare un altro posto che non fosse la strada della mia casa e di quel paese.
Ma la matematica quella si che la capivo bene.
E quel natale del 1969 i numeri erano più rossi del 4 della maestra.
17 morti e 88 feriti.
E questo succedeva in un posto che conoscevo bene.
Non in Vietnam e non in Nigeria ma a Milano a circa 14 km di distanza, in piazza Fontana.
Bombe nella città dove vivevano gli zii.
Mio nonno diceva che ci sarebbe stata di nuovo la guerra e gli si bagnavano gli occhi come quando mi raccontava che sul Piave era riuscito a fare prigioniero un austriaco ma che non gli sparò. 
Si fece dare le sue scarpe e lo fece scappare.
Sinceramente non ci ho mai creduto a questo finale. 
Mio nonno avrebbe sparato a chiunque fosse entrato nel suo vigneto (una carogna!).
Quell’anno anche il Natale mi sembrò triste e non chiesi nulla come regalo.
Comunque tra poco sarei uscito dalle scuole elementari stavo diventando grande diceva il nonno

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