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Quando qualcosa è gratis…
QUANDO UNA COSA È GRATIS VUOLE DIRE CHE LA MERCE SEI TU”.
In un mondo di Nativi Digitali questa frase mai è stata così vera.
Infatti si parla spesso di questa generazione come quella di quei ragazzi cresciuti tra la “lunga coda” del ‘900 e questo millennio di globalizzazione selvaggia, paranoie e di perenne crisi economica.
A me piace definirli “Nativi Precarizzabili”.
Ma non è la mancanza di lavoro il punto del mio discorso o il fatto che la famiglia è il vero welfare per loro ma sulla concezione attuale di “lavoro” con quello che ne segue.
Mentre le generazioni precedenti, quelle senza smartphone e con un “gettone telefonico” in tasca era legata a una identità professionale, a un immaginario, a un contratto e a una dimensione di “classe” oggi, il lavoro è una attività come un altra.
Una “prestazione”.
È normale (ma non lo sarà mai per me!) pensare al lavoro come GRATUITO.
Lo stesso concetto di “salario ” è evasivo e imbarazzante ogni volta che lo leghiamo a uno stage.
A questa condizione si viene educati, amalgamati, obbligati.
Le generazioni future di 18enni avranno svolto centinaia di ore scolastiche della nuova e “grassa” (ma non per loro) attività scolastica che chiamano Alternanza Scuola Lavoro. (adesso PCTO)
Impareranno cose belle o cose inutili a secondo di una alterna fortuna ma avranno appreso che IL LAVORO PUÒ ESSERE GRATUITO.
Non importa se non sapranno distinguere tra uno sciopero o una serrata o se non sapranno leggere una busta paga e se avranno o meno idea di cosa è stata la “classe operaia” e la sua storia.
Una cosa per loro è sicura.
Daranno per scontato in una sorta di ignorante normalità che “non è necessario che il lavoro sia pagato”
In un McDonald della mia zona spesso noto degli “stagisti”.
Li riconosci subito perché appaiono e spariscono nello spazio di una perturbazione atmosferica.
Voi pensate che quel ragazzo/a che proviene da un noto istituto alberghiero (omissis) stia trafficando in una cucina intento a friggere delle patatine?
Niente di più sbagliato!
La cucina quel ragazzo non la vedrà mai, come non vedrà mai un ambiente lavorativo.
Viene intubato in una maglietta con un logo e destinato, una volta indottrinato alla accoglienza del cliente.
Non lavorano per un “salario” e nemmeno devono e possono sviluppare una solidarietà con gli altri lavoratori.
Marco, Beatrice, Paolo li ho visti tutti ripetere acriticamente e dare lustro a un marchio, credendoci come in una “mission”.
Per tutti loro era “gratificante” apparire nel mondo reale e visto che quel “apparire”, il “mostrarsi” a titolo gratuito era già “nativo” sui social, non è difficile il passo successivo.
Del resto sono sicuro che a fine giornata saranno ripagati dalla azienda con centinaia di “MI PIACE” trasformati in “sei un ragazzo sveglio, fatti risentire” e stronzate di questo tipo.
Come hanno messo a disposizione gratuitamente le loro relazioni, i loro gusti e tendenze sui social o il loro ingegno su Google (i fatturati di Facebook e di Google li ringraziano) adesso mettono a disposizione il loro saper fare gratuitamente.
Questi ragazzi, sono diventati una merce per il punto di ristorazione (ma può essere qualsiasi altro tipo di attività) e non se ne rendono conto.
Purtroppo questa situazione è passata su tutti noi, prima silenziosamente fino quando è arrivata a manifestare i propri sintomi.
Il risultato chiaro di decenni di una educazione proiettata al “Sociale”, da servizi alla clientela e di disinteresse alla politica.
Adesso quando sento parlare di “nativi digitali” e di “generazione web o 4.0” non posso fare a meno di pensare che è solo un modo per “addolcire la pillola”.
Una specie di placebo di fronte a un capitalismo che ha saputo silenziosamente trasformarsi sotto gli occhi di tutti
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